venerdì 16 maggio 2008

Suite Francese

Irène scriveva, caparbiamente cercava di terminare la sua 'sinfonia', il suo ambizioso affresco dei suoi tempi. Presto, doveva fare presto: sapeva che prima o poi sarebbero venuti a prenderla, ed allora per lei sarebbe stata la fine.

Era il 1942, l'Europa era a ferro e fuoco e a Parigi c'erano i nazisti. Irène Némirovsky, giovane mamma di due bambine, scrittrice, ebrea russa, forse si aggrappava alla scrittura, al suo progetto di 'sinfonia in cinque romanzi' che raccontasse la Francia della sconfitta, dell'occupazione, per non sentire i minacciosi scricchiolii che preannunciavano il crollo del suo mondo.

E scriveva con una scrittura piccola piccola: tante formichine minuscole in interminabili file sui fogli, per risparmiare la carta, ormai sempre più difficile da trovare.

Il 13 luglio 1942 bussano alla sua porta, il tempo di salutare le bambine, forse, e la portano via, destinazione il campo di Pithiviers. E da lì Irène andrà a morire ad Auschwitz. Senza poter rivedere le figlie, che dovranno fuggire e nascondersi, sempre a rischio di vita fino alla fine della guerra; senza salutare il marito, che la seguirà di lì a poco nello stesso destino; senza poter terminare la sua sinfonia.

Gli unici due romanzi che Irène Némirovsky fece in tempo a scrivere, dei cinque che aveva in mente, sono raccolti in questa Suite francese: Temporale di giugno e Dolce
Sono romanzi bellissimi entrambi, delicatissimi e disincantati insieme. A cui, per quanto posso giudicare, la traduzione rende piena giustizia.

temporale di giugno
Il temporale è l'arrivo dei tedeschi, il loro veloce approssimarsi a Parigi: tuoni in lontananza le voci che si rincorrono, lampi all'orizzionte le notizie che ne cadenzano l'approssimarsi. Seguiamo i preparativi di famiglie ed individui, le esitazioni, il rincrescimento: ciò che si deve lasciare con rammarico e ciò che ci si porta dietro con testardaggine. Le case sistemate come per una assenza indefinita, le famiglie sotto casa che incongruamente, con sublime incapacità di comprendere, stipano le macchine come per una vacanza, o una visita ai parenti in provincia. Irrinunciabili le lenzuola ricamate; vorrai mica lasciare qui il triciclo del pupo?; i gruppi che si separano, gli accordi, gli appuntamenti per l'arrivo… i piccoli intoppi, i bambini da sistemare, i soliti dispetti in famiglia… Chi va con la cadillac, chi con un carretto a mano, chi a piedi, chi cerca di prendere gli ultimi treni che lasciano la città, che viene abbandonata come un formicaio che sta per essere raggiunto dall'onda di piena, che lo sommergerà.

Tratteggiati con mano delicata e sottili spietatezze via via incontriamo esponenti dell'aristocrazia - del sangue e del pensiero - coppie di piccoli impiegati, famiglie di grand commis con servitù al seguito. Ognuno con le sue ossessioni, le sue paure e le sue piccinerie. Ma di ognuno di loro spiamo anche i moti dell'animo più umani, sono esseri capaci di slanci e di improvvise lucidità, o di riflessioni che illuminano la pagina. Ma anche, infine, di una brutalità senza nome e senza senso.

Tutti sono colti in un momento straordinario: quando la Storia batte un colpo e non ce n'è più per nessuno tutte le piccole storie degli individui vengono stravolte, annichilite o glorificate, a seconda del caso e del capriccio. Nello stra-ordinario del bisogno, della paura, soprattutto del grande movimento di massa, ognuno tira fuori il peggio o il meglio di sé, la propria vera natura, forse, che non aspettava altro che di essere rivelata. O forse solo gli angoli qui squallidi, avidi e meschini della nostra anima, quelli che nella vita di tutti i giorni simuliamo anche a noi stessi, cancelliamo e seppelliamo sotto le mille maschere che ci permettono di vivere.

E questa varia umanità, così francese e così 1940 per un verso, è anche una commedia umana che racconta qualcosa di eterno, che ci parla di noi, della nostra zia zitella, del burocrate del piano di sopra, della starlette della tv del pomeriggio, del tuttologo pieno di sé che occhieggia dalle copertine nelle edicole. Pochi comunque sono i personaggi davvero e univocamente positivi, in cui si finisce per identificarsi, sostanzialmente una coppia di bancari di mezza età, uniti da un amore tenero e saldo, dal pensiero dell'amatissimo figlio in guerra e - soprattutto - da un'etica 'antica', fatta di moderazione e 'pietas'.

In questo affresco corale tutti sono in movimento, tutti scappano e si muovono in una singolare anarchia, la libertà che ubriaca e abbatte i freni 'sociali' del "si fa-non si fa", quando le gerarchie sono allentate; eppure - gratta gratta - la vernice dell'educazione e delle apparenze viene via inevitabilmente. Quello che resta scoperto sotto di essa è l'essere nudo, impudico e vertiginoso, capace di rubare il pane, uccidere, fare la spia ma anche di dividere l'ultima risorsa, accogliere, curare.

È anche un grande 'bestiario' di una società in cui si è inesorabilmente divisi in classi, dove il ricco, il povero, il contadino e il borghese si comportano senza via di scampo da quello che sono, e sembrano destinati immutabilmente ad essere. La Némirovsky mostra di avere un 'occhio' sociale molto attento, ma anche una concezione della società estremamente statica, finanche reazionaria. Ma è una figlia dei tempi e - lei sì - della sua classe.

Dolce
Dolce è Lucile, moglie infelice ma rassegnata; e dolce è la campagna francese, con i colori dei suoi tramonti, i giardini curati delle case nei villaggi, i rumori di una natura sensuale e come distante dagli affanni umani: i paesaggi, i profumi, i colori sono sempre presenti nel narrare, struggenti e delicati come acquarelli, ma c'è una nota amara in fondo a queste descrizioni ariose e melanconiche: la tenace alienità del mondo naturale, che vive di una sua vita immemore, che avvolge gli affanni umani senza mai riuscire a guarirli, in cui solo un gatto riesce davvero ad immergersi con pienezza, a lasciarsi inebriare, a VIVERE le sensazioni: i personaggi colgono fiori, cacciano di frodo, coltivano fragole… ma mai davvero vengono 'guariti' delle loro malattie e dei loro dolori, mai davvero ascoltano quel richiamo che tutto attorno a loro silenziosamente grida, che la storia passa, avidità ed ambizioni, doveri e convenzioni sono di passaggio, che un profumo, la sfumatura di un cielo, le sensazioni della pelle sono le uniche cose reali e - soprattutto - le uniche in cui può esserci felicità. Da questo sottile, silenzioso contrasto che mi è sembrato intessere una trama fitta 'al di sotto' della storia, scaturisce quel sottile amaro che si confonde con il dolce, quella durevole ansietà che pare aleggiare.

Il titolo è in italiano nell'originale: un richiamo alla terminologia musicale, in accordo con lo spirito dell'opera. Ed in effetti la cosa più dolce è proprio il respiro del testo, il 'movimento' della scrittura.

Anche questo romanzo, come tempesta di giugno racconta un preciso momento storico, quello subito successivo della Francia stabilmente occupata. E lo fa attraverso una coralità di personaggi, questa volta gli abitanti di un paesino della eterna provincia francese. Al centro la storia d'amore, repressa e non vissuta, tra un ufficiale tedesco e Lucile, il cui marito è prigioniero in Germania.

Lucile lentamente spegne senza combattere, nel grigiore, la sua anima delicata, la sua raffinata bellezza e la sua vivace intelligenza, nella cupa casa dove vive con la suocera, legata al figlio lontano da un amore tenace e quasi ossessivo, dura rappresentante di quella 'stirpe' che della provincia francese è l'ossatura: i medi proprietari terrieri, custodi della morale della famiglia e del soldo, diffidente verso i mezzadri e i contadini - rappresentanti del minaccioso e incomprensibile mondo del lavoro manuale così come della atavicamente ostile cultura contadina - così come verso l'aristocrazia terriera - finanziariamente incapace, fantasma di un potere che scolora -. La nuora per lei è una creatura in fondo disprezzabile: troppo diversa da suo figlio per essere la moglie che lei vorrebbe per lui, troppo lontana dai suoi valori per essere affidabile, incomprensibile nei suoi pensieri e nei suoi gesti (come leggere romanzi), e soprattutto nella sua docilità la suocera intuisce oscuramente una sottile ribellione al suo mondo, a ciò che lei rappresenta. Lucile è eternamente ospite nella casa del marito, neppure troppo gradita.

L'ufficiale tedesco, Bruno, la scuote dal suo letargo; raffinato e cortese, con un fondo di affilata durezza virile, prussiana e militare, egli rappresenta il mondo che è in fondo la patria dell'anima di Lucile: il mondo dell'arte, della musica, della letteratura. Esiliata da sempre da questo universo, cui pure la sua anima oscuramente aspira, Lucile ha uno spirito fiammeggiante e appassionato, che neppure lei si conosce e che l'arrivo di quest'uomo sensibile e passionale risveglia. Ma troppo è ciò che li separa: le convenienze, la morale, la guerra: lui è l'occupante…
Attorno a loro, sentimenti e caratteri si dipanano e la Némirovsky anche qui sa essere spietata nel rivelare le piccinerie, le ottusità della vita di paese e che vieppiù prendono il sopravvento durante un'occupazione, quando c'è un padrone della vita e della morte da combattere o adulare. Ma al tempo stesso non dimentica mai quando sia difficile vivere, quando sia inumana la piena coerenza, quanto siano fragili le anime.

il romanzo di un romanzo
la bella edizione di Adelphi non si limita ai due romanzi: in fondo riporta ampii stralci del diario di Irène Némirovsky dei cupi giorni della guerra, fino alla sua deportazione (un diario che è anche un quaderno d'artista denso di preziose riflessioni sulla scrittura che andava proseguendo) e il carteggio che in quei convulsi anni coinvolse lei, i suoi editori e poi suo marito che disperatamente cercava notizie, aiuto, sostegni per salvarle la vita e tutti coloro a cui lui si rivolse. Infine una interessante postfazione che racconta la figura di questa donna, la sua vita avventurosa e tragica, le vicende successive che coinvolsero le sue figlie e lo stesso manoscritto di Suite francese.
Tutto ciò rappresenta il 'romanzo' di questo romanzo, ce lo mostra mentre viene immaginato, progettato, e poi scritto, limato, al centro dei pensieri della sua autrice mentre attorno a lei divampa l'incendio che le brucerà la vita, come una zattera di bellezza in tempi bestiali. E' commovente vedere la foto di una pagina del suo quaderno, dove scriveva il testo del romanzo e a fronte le sue riflessioni e i suoi pensieri, rende ai nostri occhi più bello il romanzo e per i nostri cuori più emozionante l'esperienza della lettura. Questi quaderni neri, che immaginiamo dimessi e sgualciti, non furono mai abbandonati dalle figlie di Irène, che - seppure per anni non ebbero il coraggio di leggerli -, non li abbandonarono mai mentre fuggivano per la Francia inseguite da occhiuti persecutori: due bambine ebree, orfane e malate, rifugiate in cantine e soffitte e convitti, che nonostante tutto sopravvivono alla guerra e avranno il destino di ricostruire la figura e l'opera di questa madre persa così presto, di raccontarla al mondo.

il romanzo di una vita
Irène sembra ai miei occhi una figura da romanzo: dall'infanzia ricca ma anche infelice, nella Russia degli zar, con un padre affarista e distante (il ricco affarista ebreo di tanta propaganda antisemita di quei tristi anni!) ed una madre da 'Balocchi e profumi', arida e superficiale, innamorata della propria immagine: pare di vederla Irène bambina, mi appare rigorosamente in un bianco e nero sgranato da cinema muto, con i riccioli acconciati ed una vestina da bimba aristocratica, mentre da una porta socchiusa guarda con i suoi tristi occhioni neri la madre che folleggia (una lunga veste di seta, uno scialle esotico, un diadema di piume nell'acconciatura) con qualche damerino… Poi la rivoluzione, la paura, il nascondiglio e la fame, la fuga, il viaggio attraverso un'Europa già in subbuglio, l'esilio dorato parigino, con Irène che, già giovane donna della buona società, assapora la vita, si innamora, si sposa, coltiva il suo talento letterario, diventa madre… tutto ciò immemore o incurante delle sue origini, della sua cultura, che sembra in fondo contare così poco per lei, a volte addirittura rappresentare la sua infelicità familiare, tutto ciò che odia. Ma saranno proprio quelle origini a segnare il suo destino. Anche qui, ce lo possiamo immaginare quanto questo la lasciasse incredula, attonita. Un film, davvero, la metafora di una generazione forse… invece no: vita vera di una donna vera, che ci ha lasciato un complesso, delicato, raffinato, durissimo romanzo. Da leggere, senza dubbio. Anche per non dimenticare, mai.

  • titolo italiano: Suite Francese

  • casa editrice: Adelphi
  • anno: 2005
  • città: , Milano
  • titolo originale '"Suite Française"'
  • a cura di: Denise Epstein e Olivier Rubinstein
  • postfazione: Myriam Anissimov
  • traduzione di: Laura Frausin Guarino



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