una signora si addormenta tranquillamente su una poltrona di prima classe in un traghetto della
Tirrenia e
si risveglia coperta di zecche (
brrr), da questa disavventura l'ottimo
maurizio silvestri prende spunto per riflettere con amarezza sull'uso tutto italiano di non chiedere mai conto ai grandi manager degli sfasci di cui sono responsabili (vedi
Ferrovie, vedi
Alitalia), salvo liquidarli alla fine con importi astronomici, come premio di cotanto impegno.
Maurizio Silvestri mi ha fatto riflettere ed incuriosito e mi è venuta voglia di capirci un po' di più.
Per chi non avesse presente, a questo punto è indispensabile raccontare brevemente perché le sorti della Tirrenia ci riguardano tutti: la compagnia di navigazione
Tirrenia è controllata al 100% da Fintecna, che a sua volta è interamente controllata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze: l'ultimo reperto delle partecipazioni statali, insomma: la Tirrenia è
nostra e se perde siamo noi a perdere, perché i buchi dei suoi bilanci vengono riempiti con soldi pubblici.
Stiamo parlando di uno dei maggiori complessi armatoriali europei, che comprende la capogruppo Tirrenia, la Divisione Adriatica e Caremar, Saremar, Siremar, Toremar. Ma un colosso che fa acqua da tutte le parti, a cominciare dallo stato dei traghetti per finire con i bilanci.
E' di circa un anno fa un
dossier de L'Espresso che con ampio materiale foto e video mostra lo sfascio della flotta, punta il dito sulla mancanza di controllo, sull'incuria: arriva a parlare di
"carrette di Stato", domandandosi dove andasse a finire l'enorme quantità di denaro pubblico che la compagnia ingoiava. La Tirrenia se ne ebbe tanto a male da comprare una pagina su diversi giornali nazionali per
rispondere alle accuse, naturalmente negando su tutta la linea.
E invece la verità è che la Tirrenia continua a perdere di anno in anno: una voragine che ingoia gli ingenti contributi statali che ogni anno vengono erogati (si parla di oltre
due miliardi di euro in sovvenzioni dal ‘92 a oggi). Oggi i debiti di Tirrenia sono pari al
123% del fatturato: 207 milioni di euro. I conti in tasca glieli fa Sergio Rizzo, che parla senza mezzi termini di
Disastro Tirrenia.
Perché Tirrenia venga chiamata oggi l'Alitalia del mare ce lo spiega Gian Antonio Stella fa 'una botta di conti' e rileva, a quest'anno, un debito pari a "73 mila euro per ciascuno dei 2.836 dipendenti. Una catastrofe tre volte più vistosa di quella dell' Alitalia, dove il «rosso» è di «soli» (si fa per dire) 25 mila euro a dipendente".
Una catastrofe, insomma. E sì che la ragione sociale di Fintecna sarebbe stata quella di risanare l'azienda. Risanare e privatizzare, per la verità. E su questo secondo punto, manco a dirsi invece l'impegno c'è e si vede: è direttamente
Silvio Berlusconi, in occasione della 48 ore del mare ad incaricarsi di rassicurare gli interessati che si sarebbe posto fine alla
"concorrenza sleale" agli armatori privati, con la privatizzazione della Tirrenia e la quotazione in Borsa di Fincantieri. La sollecitudine di Berlusconi è la risposta alle
pressioni di Confitarma (la Confederazione Italiana Armatori), che ha chiesto forte e chiaro un'accelerazione nella privatizzazione.
"Si può mai dire di no agli armatori?" dev'essersi domandato il
Nostro
Fantastico
Presidente del
Consiglio.
E poi gli armatori hanno pronunciato la parola magica, che piace tanto a Silvio:
"Sarebbero pronte due cordate italiane." E
non solo italiani, pare: Mobyline, Grimaldi ma anche Hellenic Seaways, tutti si dichiarano interessati (
«Tirrenia? Eccome se ci interessa»).
Già, perché non solo gli operatori privati brindano quando scompare un concorrente pubblico che calmiera i prezzi, ma
pare che la convenzione tra Stato e Tirrenia, che scadrebbe quest'anno, verrà prorogata fino al 2012, quindi chi si porta a casa Tirrenia si porta a casa anche un bel
pacco dono di contributi pubblici.
Resta inteso che un privato difficilmente non si farà carico in futuro di tratte poco remunerative, quel genere di collegamenti, per destinazioni poco appetibili turisticamente e/o in periodi non vacanzieri, che non creano profitto ma rappresentano un servizio pubblico indispensabile. E per finire, Alitalia docet, assisteremo al balletto dei numeri per la 'razionalizzazione' del personale? Ombre ed interrogativi che si pone anche un senatore,
Marco Filippi e sui quali credo ci sia poco da star tranquilli.
La cosa è ulteriormente complicata dalla presenza anche delle società regionali (Caremar per la Campania, Siremar per la Sicilia, etc.) che si occupano dei collegamenti con le isole minori: i privati fanno sapere che vedrebbero bene uno scorporo, che veda le tratte locali assegnate alle Regioni, mentre loro sarebbero interessate a rilevare le grandi tratte. A quanto pare l
e Regioni sono d'accordo.
Che dire, non sono un'esperta del settore, ma a me questa storia non piace: se qualcosa ci hanno insegnato gli anni trascorsi è che mai una privatizzazione è stata a vantaggio della collettività (e dei lavoratori), sempre l'abbandono di un settore strategico da parte dello Stato lungi dal migliorare i servizi grazie alla concorrenza ha peggiorato servizi e costi, grazie alle meraviglie dei trust (veri, virtuali o supposti), come per il mercato dell'energia o quello delle telecomunicazioni.
E a questo punto, da cittadina molto confusa e anche un po' incazzata, mi sono domandata come eravamo arrivati fino a qui, ad una voragine di fondi pubblici buttati al vento, una compagnia di "carrette di Stato" ed una ennesima privatizzazione alle porte: in fondo ero partita dalle frasi di Maurizio Silvestri sugli italici "manager d'oro". Ho cercato allora qualche notizia in più sull'A.D. di Tirrenia, scoprendo che il manager a capo di Tirrenia è il sig. Franco Pecorini e siede su quella poltrona dal lontano 1984. Probabilmente un vero record, degno del Guinness dei Primati, destinato a perpetuarsi, visto che è appena stato riconfermato per altri tre anni dal ministro Tremonti.
A questo punto non ci può essere dubbio: un fuoriclasse, forse l'unico manager pubblico inamovibile in questi tormentati decenni, sarà perché si occupa di navigazione, ma di sicuro sa come
navigare con ogni vento - prodiano, ciampesco o berlusconide - sia bonaccia e sia tempesta nulla rovescia il suo vascello.
Ma se abbiamo un manager così bravo, addirittura insostituibile, come mai la Tirrenia è allo sfascio? A meno che l'
inaffondabile capo della Tirrenia non sia tanto inaffondabile per motivi che non hanno nulla a che vedere con una brillante gestione dell'azienda: qual'è il segreto di questo distinto signore dall'aria bonaria, che nelle foto sfoggia un bel baffo bianco che lo fa assomigliare ad uno di quei detective in bombetta dei vecchi gialli inglesi? C'è chi lo chiama l'Eterno, o l'Ultimo dei Boiardi e la sua longevità comincia ad essere chiara leggendo
questo interessante articolo di Fabio Pozzo.
E se Tremonti, con la privatizzazione che avanza e che sarebbe stato logico affidare ad un management nuovo di zecca e "di fiducia", ha deciso di riconfermare ancora il Pecorini, vuol dire proprio che è lui, l'
ultimo Boiardo.
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